Licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà.

È legittimo il licenziamento disciplinare nei confronti del dipendente che è anche socio e membro del CDA di una società concorrente, poiché avente oggetto socialesovrapponibile (anche solo parzialmente) a quello dell’azienda datrice di lavoro. È quanto emerge dalla lettura di una recente sentenza della Sezione lavoro della Corte di Cassazione (la n.10239 dell’11/04/2019)

CASO

  • Il ricorrente ha taciuto al datore di lavoro di aver costituito una società potenzialmente concorrente e tale condotta, poiché confliggente con l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., ha indotto i giudici – prima quelli di merito e poi quelli di legittimità – a sancirela validità ed efficacia del licenziamento disciplinare oggetto di causa.
  • La sanzione espulsiva è apparsa proporzionale rispetto al fatto addebitato anche a fronte della circostanza delle intervenute dimissioni dagli incarichi societari di cui alla lettera di contestazione disciplinare, così come della serie di elementi emersi in corso di causa, quali l’assenza di precedenti disciplinari, l’intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro di lunga durata, la limitatezza dei profili di coincidenza delle attività delle due società.

Con riferimento ai rapporti di lavoro di natura subordinata, l’articolo 2105 del codice civile prevede un generico obbligo di fedeltà posto in capo al prestatore che comporta, per il medesimo, l’impossibilità, nel corso del rapporto lavorativo, di «trattare affari, per conto proprio odi terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e aimetodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio».Al riguardo, nella giurisprudenza di legittimità, si è sostenuto, ad esempio, che l’obbligo difedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dalcitato art. 2105, dovendo integrarsi con gli articoli 1175 e 1375 del codice civile, che impongonocorrettezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da nondanneggiare il datore di lavoro ( così Cass. civ. Sez. L n. 14176/20091richiamata, in motivazione,da Cass. civ. Sez. L n. 144/2015).

 

STUDIO GERMANI