Nuovo limite al contante.

I pagamenti con denaro contante effettuati a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, siano esse persone fisiche o giuridiche dovranno essere inferiori alla soglia di mille euro. È quanto emerge dal comma 3-bis dell’art. 49 del D.Lgs. 231/2007. Resta fissa, invece, la soglia massima a 1.000 euro per i servizi di rimessa di denaro o money transfer, come pure resta la restrizione già prevista per le attività di compro-oro che per operazioni di importo pari o superiore a 500,00 euro devono continuare a ricorrere all’utilizzo di mezzi di pagamento, diversi dal contante, proprio per garantire la tracciabilità dell’operazione e la sua riconducibilità all’effettivo disponente. I soggetti (debitore e creditore) coinvolti in operazioni di pagamento o comunque di trasferimento di denaro contante ultrasoglia rischiano la sanzione minima di mille euro e massima di 50 mila euro.

Le conseguenze, in termini di Antiriciclaggio, che scaturiscono dall’applicazione della nuova e minore soglia di spendibilità del contante riguardano anche le operazioni di frazionamento artificioso che espongono al rischio di contestazione per “operazione frazionata”.

Il divieto di trasferimento di contante ultrasoglia, infatti, riguarda anche i casi in cui il pagamento venga realizzato “attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale”.

Dalla lettura della definizione normativa di “operazione frazionata” emergono due circostanze: la prima, che in presenza di un intervallo fino a 7 giorni tra più pagamenti, l’Autorità amministrativa dovrà considerare automaticamente artificioso quel frazionamento, contestando l’operazione frazionata; la seconda, che quand’anche l’intervallo tra un trasferimento di denaro e l’altro dovesse superare il limite dei 7 giorni, l’attività investigativa Antiriciclaggio potrà verificare “la sussistenza dell’operazione frazionata” sulla base del criterio “teleologico” ovvero, “quando ricorrano elementi per ritenerla tale”.

Il criterio temporale dei sette giorni trova applicazione soprattutto rispetto alle operazioni effettuate dal medesimo cliente, attraverso l’intervento di banche, uffici postali e altri istituti o intermediari finanziari, in considerazione della mancanza di elementi da cui possa individuarsi la causale di quei trasferimenti di denaro.

Il criterio teleologico, invece, guiderà il professionista “soggetto obbligato” verso la comunicazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ex art. 51 del decreto Antiriciclaggio, dell’operazione effettuata dal cliente che abbia fatto ricorso al pagamento frazionato in ragione di un’unica prestazione contrattuale, quindi di un’unica causale.

Il mancato rispetto di tale obbligo di comunicazione espone i “Soggetti obbligati” di cui all’art. 3 alla sanzione da 3.000 a 15.000 euro, prevista dal comma 5 dell’art. 63. I “Soggetti obbligati” di cui all’art. 3 del D.Lgs. 231/2007 che nell’esercizio delle proprie funzioni o nell’espletamento della propria attività abbiano notizia di infrazioni relative alla limitazione all’uso del contante, sono tenuti a effettuare la comunicazione al MEF, entro trenta giorni. Ricevuta tale comunicazione, il MEF procede alla contestazione, a carico sia del debitore che del creditore, per l’illecito amministrativo previsto dall’art. 49 dello stesso decreto Antiriciclaggio e applicando la sanzione amministrativa pecuniaria nella nuova misura stabilita dal comma 1-bis dell’art. 63. L’ultimo comma dell’art. 51 esenta i soggetti obbligati dall’obbligo della comunicazione al MEF, solo nel caso in cui la stessa infrazione sia oggetto di Segnalazione per Operazione Sospetta (SOS).

In tutti gli altri casi, la violazione dell’obbligo di comunicazione al MEF espone il soggetto obbligato – professionista e intermediari finanziari – alla sanzione stabilita dal comma 5 dell’art. 63, da un minimo di 3 mila fino al massimo di 15 mila euro.

Al configurarsi dell’automatismo temporale oppure in presenza di elementi da cui emerga l’artificioso frazionamento, l’Autorità amministrativa, dopo aver effettuato una valutazione caso per caso, sarà in grado di individuare e contestare le operazioni frazionate sottese a eludere il divieto normativo, per applicare – a quel “rilievo unico” – la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal nuovo comma 1-ter nell’art. 63, del decreto Antiriciclaggio, pertanto: “[…] Per le violazioni commesse e contestate a decorrere dal 1° gennaio 2022, il minimo edittale, applicabile ai sensi del comma 1 [dell’art. 49] è fissato a 1.000 euro” restando fermo a 50 mila euro il massimo della sanzione applicabile.

Attenzione, però, perché continuano a ritenersi ammessi i frazionamenti previsti da prassi commerciali o frutto della libertà contrattuale delle parti, purché se ne possa dare prova documentale.

Un consiglio, allora: per evitare di incorrere nella contestazione della violazione, è necessario che le parti sottoscrivano un accordo contrattuale che preveda il pagamento rateale e la modalità di pagamento, stando attenti ad annotare in fattura il pagamento avvenuto, di volta in volta, oltre al rilascio della quietanza, firmata e datata dal soggetto creditore.

Tornando alla riduzione del minimo edittale delle sanzioni previste dal comma 1° ter dell’art. 63 D.Lgs. 231/2007, un dubbio si pone all’attenzione del fine giurista. Come è noto, la regola generale dettata in materia di sanzioni amministrative, dall’art. 1 della Legge 24.11.1981, n. 689 – che regola il procedimento sanzionatorio Antiriciclaggio- si basa sul principio del tempus regit actum:

  • “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.

Ciò premesso, tuttavia, deve rilevarsi che la stessa L. 689/1981 prevede alcune eccezioni a tale regola generale, si tratta del principio del favor rei, fondamento irrinunciabile del diritto penale riconducibile al principio di pari trattamento ed eguaglianza espresso all’art. 3 della Carta Costituzionale che comporta l’applicazione della retroattività dello ius superveniens favorevole. Tale principio risulta applicabile –secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale- a singole e specifiche discipline sanzionatorie che, stante il carattere amministrativo, siano qualificabili come punitive, in ragione del carattere afflittivo delle sanzioni (pertanto, definite de facto penali). Il principio del favor rei di cui all’art. 2, commi 2 e 4, c.p. trova configurazione in due differenti forme: l’abolitio criminis (abrogazione della fattispecie incriminatrice) così che “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali […]” e dell’abrogatio sine abolitio (modifica della fattispecie incriminatrice) per cui “[…] Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.
Proprio per effetto di questa seconda forma di configurazione del favor rei l’applicazione delle sanzioni di tipo punitivo-afflittivo deve assicurare che – anche – in caso di sopraggiunta abrogazione o di favorevole modifica della fattispecie incriminatrice di riferimento, la sanzione applicabile risulti la più favorevole al sanzionato.

Nel caso di specie si tratta del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 63, comma 1-ter che configura proprio modifiche in mitius delle disposizioni applicabili a chi si sia reso colpevole della violazione Antiriciclaggio ex art. 49, commi 1, 2, 3, 5, 6 e 7 nonché , del principio di retroattività della lex mitior in materia penale e dell’estendibilità di tale principio alle sanzioni pecuniarie amministrative, quali quelle in materia di Antiriciclaggio. A ciò deve aggiungersi che il D. Lgs. n. 231/2007, così come già modificato dal D. Lgs. n. 90/2017, reca il “nuovo” art. 69, rubricato “Successione di leggi nel tempo”, in virtù del quale “Nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione, se più favorevole, ivi compresa l’applicabilità dell’istituto del pagamento in misura ridotta. Dalla data di entrata in vigore del presente articolo, il termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio è di due anni, decorrenti dalla ricezione della contestazione notificata all’amministrazione procedente …”.

Di qui il dubbio: se è vero – come si ritiene vero – che la sanzione amministrativa prevista dai commi 1 e 1-bis dell’art. 63 del D.Lgs. n. 231 del 2007 abbia natura punitiva-afflittiva, allora, è altrettanto vero che la stessa debba beneficiare delle garanzie che la Costituzione (e il diritto internazionale dei diritti umani) assicura(no) alla materia penale e amministrativa punitiva, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior. In altre parole, coloro ai quali fosse già stata contestata la violazione di cui al comma 1° dell’art. 49 dovranno essere assoggettati alla sanzione nella maggiore misura minima in vigore alla data della commessa violazione e contestazione oppure potranno beneficiare dell’applicazione di quella riduzione in vigore a partire dal 1° gennaio 2022? Dalla risposta a tale quesito scaturiscono conseguenze anche di tipo pratico, visto che la Corte di Cassazione ha stabilito che il provvedimento sanzionatorio può essere impugnato (in sede giurisdizionale) dalla parte, ai fini dell’applicazione del principio del favor rei, anche in ordine a quei procedimenti già conclusi e rispetto ai quali risulti pagata la sanzione comminata, ciò non comporterebbe infatti alcuna discrasia con quanto sancito all’art. 74 del decreto Antiriciclaggio.

 

Studio Germani